
Lo studio delle Relazioni Internazionali (RI) comprende un’ampia gamma di teorie che forniscono diverse prospettive su come interagiscono gli stati, sulla natura del sistema internazionale e sui fattori che influenzano la politica globale. Ogni teoria ha i propri presupposti e fornisce le proprie intuizioni sul comportamento degli stati e sulla governance globale. Come campo di studio accademico, le RI sono iniziate con le teorie liberali nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Successivamente, il pensiero liberale sarebbe stato contrastato da varie correnti del Realismo (come il Realismo Classico, il Neorealismo e il Realismo Neoclassico) e sarebbe stato rafforzato da varie correnti del Liberalismo (come il Funzionalismo e il Neoliberalismo). La Scuola Inglese è emersa come alternativa sia al pensiero liberale che a quello realista e, negli ultimi decenni del ventesimo secolo, sono emerse molte altre teorie. Attraverso queste diverse lenti, gli studiosi possono comprendere meglio le complessità delle interazioni globali e la natura multiforme degli affari internazionali. Questo articolo fornisce una panoramica delle teorie più rilevanti delle RI, dei loro sostenitori e delle loro argomentazioni.
Liberalismo
Il Liberalismo è emerso come una scuola significativa delle Relazioni Internazionali nel XX secolo. Uno dei suoi principi centrali è l’idea che la sicurezza di uno stato possa essere garantita solo quando è garantita la sicurezza di tutti gli stati. Secondo i liberali, gli stati sono attori razionali capaci di usare la ragione per raggiungere una cooperazione reciprocamente vantaggiosa. A differenza del realismo, che vede la politica internazionale come un gioco a somma zero guidato da lotte di potere, il liberalismo postula che gli affari mondiali possano essere un gioco a somma positiva in cui la cooperazione porta a scenari vantaggiosi per tutti.
Diversi fattori contribuiscono a questo ambiente internazionale cooperativo:
- Libero Scambio: I liberali sostengono che il libero scambio favorisce l’interdipendenza tra le nazioni. Attraverso il commercio, i paesi scambiano beni e servizi, beneficiando economicamente e creando una rete di dipendenze reciproche che riducono la probabilità di conflitto.
- Democrazia: Si ritiene che le nazioni democratiche siano più pacifiche nelle loro interazioni con altre democrazie, un concetto noto come la “Teoria della Pace Democratica”. Questa teoria suggerisce che le norme e le istituzioni democratiche promuovono la risoluzione pacifica dei conflitti.
- Istituzioni Internazionali: Istituzioni come le Nazioni Unite svolgono un ruolo cruciale nel promuovere la cooperazione e risolvere le controversie. Queste istituzioni stabiliscono norme e regole che guidano il comportamento degli stati, rendendo le relazioni internazionali più prevedibili e stabili.
Figure chiave hanno plasmato i principi e le argomentazioni del Liberalismo. Norman Angell scrisse “La Grande Illusione” nel 1910, sostenendo che la guerra era economicamente e socialmente irrazionale, poiché sia i vincitori che i vinti subiscono le sue conseguenze dannose. Woodrow Wilson, l’ex presidente degli Stati Uniti, propose i “Quattordici Punti” dopo la Prima Guerra Mondiale, una serie di principi liberali volti a stabilire un quadro per una pace stabile e duratura.
Realismo
Il Realismo nelle Relazioni Internazionali è emerso durante il periodo tra le due guerre come reazione ai fallimenti percepiti del Liberalismo, in particolare a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Guadagnando notevole importanza durante la Guerra Fredda, il Realismo offre una visione cruda e pragmatica della politica internazionale, enfatizzando il ruolo duraturo del potere e la natura competitiva delle interazioni statali.
I realisti sostengono che il sistema internazionale è anarchico, il che significa che è composto da stati sovrani senza alcuna autorità superiore ad essi. Attingendo alle idee di Thomas Hobbes, i realisti sostengono che il mondo esiste in un perpetuo stato di natura caratterizzato da insicurezza e potenziale conflitto. In questa arena, gli stati sono visti come attori razionali che operano nel proprio interesse. Non possono fare affidamento su altri stati per la sicurezza, portando a un sistema di auto-aiuto (self-help) in cui ogni stato deve garantire la propria sicurezza. Secondo la maggior parte dei realisti, le interazioni internazionali sono giochi a somma zero, in particolare in materia di sicurezza, ovvero il guadagno di uno stato avviene spesso a spese di un altro. Robert Jervis ha contestato questa visione, affermando che gli stati sono in grado di cooperare in materia di sicurezza se scelgono di farlo.
I principali studiosi associati al Realismo sono Edward Carr, Hans Morgenthau e John Herz. Carr criticò i liberali per la loro ingenua fiducia nei principi e nelle istituzioni, sostenendo che i principi sono subordinati alla politica. Morgenthau sottolineò che gli interessi degli stati sono definiti in termini di potere, ma affermò che il potere ha molteplici dimensioni: militare, economica, politica, ecc. John Herz introdusse il concetto di “dilemma della sicurezza”, secondo cui le azioni intraprese da uno stato per garantire la propria sicurezza possono essere percepite come minacce da altri stati, portando a corse agli armamenti e maggiore insicurezza per tutti.
Scopri di più sul Realismo Classico nelle Relazioni Internazionali.
Funzionalismo
Il Funzionalismo emerse negli anni ’30, principalmente promosso da David Mitrany. Criticò la nozione di confini statali, considerandoli come ostacoli principali alla formazione di una società globale. Propose che gli stati-nazione dovessero essere sostituiti da un sistema di agenzie internazionali. A queste agenzie sarebbero state assegnate permanentemente alcune delle funzioni e dell’autorità tradizionalmente detenute dagli stati, promuovendo la cooperazione, specialmente in aree di “bassa politica” (low politics), come le questioni economiche e sociali, piuttosto che di “alta politica” (high politics), che riguardano questioni di sicurezza e difesa.
I sostenitori del Funzionalismo si concentrano sullo studio del funzionamento delle organizzazioni internazionali specializzate, promuovendo la cooperazione internazionale in modo da garantire la “pace per pezzi” (peace by pieces). Un aspetto critico di questa teoria è l’effetto spill-over, che postula che una cooperazione intergovernativa di successo in un’area si estenderebbe ad altre aree, incoraggiando ulteriore cooperazione. Ad esempio, in “The Uniting of Europe” (1958), Ernst Haas analizzò come la cooperazione in aree come il carbone, l’acciaio e la ricerca nucleare facilitò l’integrazione europea attraverso effetti spill-over. Altri autori associati al Funzionalismo sono Karl Deutsch e David Mitrany, che studiarono anche iniziative di integrazione regionale.

La Scuola Inglese
La Scuola Inglese emerse principalmente dal Comitato Britannico sulla Teoria della Politica Internazionale, istituito nel 1959, e attinge a una ricca gamma di influenze da discipline come il diritto, la filosofia, la storia e la sociologia.
La Scuola Inglese propone una via di mezzo tra Realismo e Liberalismo, chiamata Razionalismo. Dal Realismo, adotta il concetto di anarchia, riconoscendo che non esiste un’autorità superiore agli stati sovrani. Dal Liberalismo, prende in prestito la nozione che la cooperazione è possibile ed essenziale nelle relazioni internazionali. Questa combinazione consente alla Scuola Inglese di sostenere che fattori sistemici e normativi — come regole, norme, valori, principi, processi decisionali e modelli di comportamento — influenzano significativamente il comportamento degli stati, anche all’interno di un sistema internazionale anarchico. Questi fattori consentono una coesistenza stabile tra gli stati, nonostante abbiano interessi nazionali diversi.
Gli studiosi associati a questa scuola postulano che esistono diverse fasi delle relazioni internazionali tra gli stati, a partire da un sistema internazionale (in cui gli stati interagiscono pur avendo poco in comune) e terminando con un governo mondiale (un’entità sovranazionale che impone la governance dall’alto). Secondo Adam Watson, l’Europa si trova al centro di questo continuum, perché esiste una società internazionale europea: un insieme integrato di stati che condividono costumi, norme, principi e valori.
Sia Martin Wight che Hedley Bull sono pensatori chiave all’interno della Scuola Inglese. Wight è noto per aver segmentato la teoria delle RI in tre tradizioni, note come le “tre R”: Rivoluzionismo, Realismo e Razionalismo. Bull sosteneva che un sistema internazionale stabile è un prerequisito per raggiungere la giustizia internazionale e per sostenere principi come l’autodeterminazione e la sovranità statale.
Neorealismo
Il Neorealismo, noto anche come Realismo Strutturale, è emerso come risposta ai limiti percepiti del Realismo Classico. A differenza di quest’ultimo, che attribuisce la ricerca del potere alla natura umana, il primo sostiene che i vincoli sistemici nel sistema internazionale spingono gli stati a cercare il potere.
Kenneth Waltz è la figura principale dietro il Realismo Strutturale. In “Man, the State, and War” (1959), fu influenzato dai comportamentisti e affermò che il fenomeno della guerra può essere spiegato attraverso tre livelli di analisi: il livello individuale, il livello statale e il livello sistemico. In “Theory of International Politics” (1979), postulò che la guerra è spiegata dall’anarchia internazionale, che è immutabile — cioè, nessuno stato può mai diventare una potenza egemonica. Secondo Waltz, gli stati sono attori razionali e interessati a sé stessi che cercano di mantenere un equilibrio di potere, reagendo contro qualsiasi stato che tenti di massimizzare il proprio potere a scapito degli altri. Credeva che il miglior equilibrio di potere fosse quello all’interno di un ordine bipolare, considerato più trasparente, stabile e prevedibile dei sistemi multipolari.
La teoria di Waltz, nota come Realismo Difensivo, contrasta con le idee di un altro neorealista, John Mearsheimer, nel libro “The Tragedy of Great Power Politics” (2001). Mearsheimer sosteneva che, di fronte alla competizione internazionale per la sopravvivenza nazionale, la migliore strategia per uno stato è massimizzare il proprio potere. Tuttavia, ammise che l’egemonia globale potrebbe essere difficile da raggiungere, quindi propose che uno stato dovrebbe lottare per l’egemonia regionale e delegare le questioni al di fuori della propria area ad altre potenze regionali — un processo chiamato “buck-passing”.
Neoliberalismo
Negli anni ’50 e ’60, le teorie liberali faticavano a contrastare il predominio del Realismo nelle Relazioni Internazionali. Negli anni ’70, Robert Keohane e Joseph Nye introdussero il Neoliberalismo, o Liberalismo Istituzionale, nel contesto della distensione della Guerra Fredda. Questi studiosi si resero conto che le questioni di sicurezza stavano cedendo il passo ad altri argomenti nella politica internazionale, come i diritti umani, lo sviluppo economico, le preoccupazioni ambientali e il non allineamento geopolitico. Il Neoliberalismo affermava che il Neorealismo trascurava queste questioni di “bassa politica” e non riusciva a spiegare l’impatto delle variabili interne e degli attori non statali nelle relazioni internazionali.
Il concetto più importante per i neoliberali è quello di “interdipendenza complessa”. Questa idea afferma che nel mondo moderno, le azioni di un attore influenzano invariabilmente gli altri. In particolare, c’erano tre caratteristiche del mondo moderno che rendevano interdipendenti stati e attori non statali:
- Molteplici canali di contatto tra le società, poiché emersero relazioni tra stati, organizzazioni internazionali, ONG e individui.
- Mancanza di chiare gerarchie di questioni, poiché esistono questioni economiche, sociali, ambientali e di altro tipo e nessun tipo prevale sugli altri.
- Irrilevanza della forza militare, perché è in gran parte irrilevante nelle controversie non militari tra paesi, come le controversie commerciali.
Un mondo caratterizzato da interdipendenza complessa è un mondo in cui gli stati affrontano rischi maggiori, perché tutto è interconnesso. Secondo Keohane e Nye, più che essere un percorso per raggiungere la pace mondiale, la cooperazione internazionale è una strategia praticabile per gestire le sfide dell’interdipendenza. Poiché l’interdipendenza colpisce gli stati in modo simile, essi hanno un interesse acquisito a trovare soluzioni comuni a problemi condivisi. Un esempio di ciò fu la Crisi Petrolifera del 1973, quando i paesi sviluppati unirono le forze per contrastare gli aumenti dei prezzi organizzati dall’OPEC. Questa cooperazione non derivava da un desiderio imperativo di pace, ma da considerazioni pratiche per affrontare una pressante questione economica.

Realismo Neoclassico
Il Realismo Neoclassico è stato introdotto da Gideon Rose nel 1998. Come il Neorealismo, questa teoria sostiene che il sistema internazionale è il livello primario di analisi. Tuttavia, a differenza del Neorealismo, il Realismo Neoclassico riconosce che le variabili interne possono influenzare significativamente il comportamento dello stato. In particolare, gli studiosi che adottano questo approccio ritengono che la politica estera di uno stato possa essere spiegata da variabili sistemiche (capacità materiali), variabili cognitive (interpretazioni) e variabili interne. Queste ultime includono le istituzioni politiche interne, le preferenze delle élite e le ideologie sociali.
Alcuni degli autori che adottano questo approccio sono Stephen Walt, William Wohlforth, Randall Schweller, Daniel Deudney, Fareed Zakaria e Jeffrey Taliaferro. Criticano le eccessive semplificazioni del Neorealismo e forniscono un’alternativa convincente per superare il modello degli stati come “scatole nere”.
Marxismo
Il Marxismo nelle Relazioni Internazionali è un quadro teorico che impiega il materialismo storico per analizzare come le condizioni materiali di produzione determinano l’organizzazione e lo sviluppo sociale. Sebbene Karl Marx e Vladimir Lenin credessero che il capitalismo avesse un effetto modernizzante e civilizzatore sulle società e le economie tradizionali, gli studiosi marxisti delle RI postulano che il capitalismo genera disparità economiche e relazioni di sfruttamento tra gli stati. Spesso, sono le multinazionali a beneficiare di queste relazioni, piuttosto che gli stati.
Un eminente studioso marxista delle RI è stato Immanuel Wallerstein, che ha introdotto la teoria del “sistema-mondo”. Ha classificato gli stati in tre gruppi: il centro, la semi-periferia e la periferia. Secondo lui, il centro è composto dai paesi sviluppati, che dominano i mezzi di produzione, producono beni ad alto valore aggiunto e sfruttano sia la semi-periferia che la periferia. La periferia è composta dai paesi più sfruttati, mentre la semi-periferia si trova in una posizione migliore, sfruttando la periferia pur essendo sfruttata dal centro. A differenza del centro, entrambi producono beni primari, che sono meno redditizi.
Gli studiosi marxisti che adottano la “teoria della dipendenza” affermano che i poveri diventano più poveri mentre i ricchi diventano più ricchi, perché i beni primari esportati dalla periferia e dalla semi-periferia non compensano i beni industrializzati importati da essi. In linea con il Marxismo, questi autori sostengono che le contraddizioni inerenti al capitalismo porteranno a crisi sempre più profonde, causandone infine il crollo.
Costruttivismo
Il Costruttivismo è stato introdotto nelle Relazioni Internazionali negli anni ’80 e ha guadagnato importanza nel decennio successivo, poiché spiegava adeguatamente la fine della Guerra Fredda e la crescente importanza degli individui negli affari globali. Questo approccio sostiene che idee, regole e istituzioni sono cruciali per comprendere sia il comportamento degli stati che le dinamiche del sistema internazionale.
Attingendo alla Teoria della Strutturazione di Anthony Giddens, i costruttivisti sostengono che sia gli agenti che le strutture si co-costituiscono a vicenda. In altri termini, il sistema internazionale non determina come si comporteranno gli stati, e il comportamento dei singoli stati non determina come evolverà il sistema internazionale. Piuttosto, le identità, gli interessi e le azioni degli stati sono costruiti socialmente e possono cambiare nel tempo. Per questo motivo, i costruttivisti deplorano l’enfasi che il Realismo pone sulle capacità militari degli stati. Ad esempio, uno stato potrebbe sentirsi più minacciato da un nemico con una sola testata nucleare che da un alleato con molte. Ciò dimostra che i significati sociali, piuttosto che le mere capacità materiali, sono responsabili dell’influenza sulle azioni degli stati.
I principali costruttivisti nelle Relazioni Internazionali sono Alexander Wendt, Nicholas Onuf e Friedrich Kratochwil:
- Wendt è stato il primo costruttivista nelle RI. Ha introdotto la nozione delle “culture dell’anarchia”, che consistono in possibili scenari per il sistema internazionale: conflitto (cultura hobbesiana), rivalità (cultura lockeana) o cooperazione (cultura kantiana) tra stati. Secondo lui, “L’anarchia è ciò che gli Stati ne fanno”, il che significa che gli stati sono liberi di aspirare a qualsiasi possibile cultura dell’anarchia, invece di essere condannati a una sola di esse in ogni momento.
- Onuf è andato oltre l’eredità di Wendt enfatizzando il ruolo delle convenzioni, delle norme, delle regole e delle istituzioni internazionali nel plasmare il comportamento degli stati. Secondo lui, le convenzioni sono comportamenti che gli stati adottano perché lo hanno tradizionalmente fatto, e le norme e le regole sono comportamenti che gli stati adottano perché credono di essere tenuti a farlo. Entrambi vincolano l’azione dello stato, ma, poiché sono costruiti socialmente, sono soggetti a cambiamenti nel tempo.
- Kratochwil ha rivoluzionato il Costruttivismo come meta-teoria delle Relazioni Internazionali, perché ha rotto con le assunzioni “Positiviste” che sia Wendt che Onuf avevano fatto, in una certa misura. Ha sostenuto che gli unici limiti alle azioni degli stati erano limiti intangibili, come le norme linguistiche e le regole socialmente costruite. Tuttavia, ha ammesso che tali limiti sono piuttosto difficili da cambiare, perché si basano sul consenso sociale e su considerazioni pratiche.
Post-Positivismo
Le teorie post-positiviste delle Relazioni Internazionali sono emerse come risposta critica al Positivismo, che è stato l’approccio meta-teorico dominante nella disciplina fino a pochi decenni fa. I positivisti sostengono che la conoscenza scientifica possa essere neutra e verificabile, specialmente se impiega i metodi delle scienze naturali. D’altra parte, i post-positivisti sostengono che la scienza non può fornire una visione oggettiva della realtà, perché gli scienziati sono prevenuti, il loro linguaggio non è neutro e i loro metodi sono imperfetti — in particolare nelle scienze sociali come le RI, perché i fenomeni sociali non possono essere studiati in condizioni di laboratorio isolate.
Ci sono diverse correnti di post-positivismo nelle RI, come ad esempio:
- Teorie Critiche: Sono state influenzate dalla Scuola di Francoforte, un approccio sociologico che fonde Marxismo, psicoanalisi e ricerca sociologica empirica. I principali sostenitori di queste teorie sono Andrew Linklater e Robert Cox, che criticano il fatto che una manciata di stati potenti controlli il sistema internazionale.
- Teorie Post-strutturaliste: Chiamate anche “teorie postmoderne”, sostengono che il linguaggio, le percezioni e i processi cognitivi plasmano significativamente l’osservazione e l’analisi dei fenomeni sociali. Sono state influenzate da pensatori come Friedrich Nietzsche, Jacques Derrida e Michel Foucault. Nelle RI, R.B.J. Walker è un importante autore post-strutturalista, con diverse opere critiche sui discorsi “noi contro loro”.
- Teorie Postcoloniali: Criticano il carattere eurocentrico delle relazioni internazionali moderne e il fatto che alcuni paesi e società rimangano sottomessi, nonostante abbiano raggiunto l’indipendenza politica. Edward Said, ad esempio, denunciò notoriamente le rappresentazioni occidentali dei popoli orientali in modo paternalistico.
- Teorie Femministe: Sostengono che le Relazioni Internazionali si concentrino prevalentemente su temi e idee maschili, mentre le donne e i loro tratti femminili vengono trascurati. Contro questa tendenza sciovinista, ad esempio, Cynthia Enloe ha sottolineato il ruolo delle donne nella politica internazionale, sia all’interno degli stati che all’interno di entità private come multinazionali e ONG.
- Teorie Queer: Sostengono che gli studiosi di RI non tengano conto delle idee, dei bisogni e delle prospettive delle persone non binarie, considerandole come deviazioni dagli standard di genere e sessualità. Un sostenitore chiave di queste teorie nella disciplina è Cynthia Weber, che ha condannato i tratti eterosessuali del sistema internazionale fin dalla Pace di Westfalia.

Conclusione
Le diverse teorie delle Relazioni Internazionali contribuiscono ciascuna con prospettive e metodologie uniche alla comprensione della politica globale. Il Liberalismo e il Neoliberalismo enfatizzano la cooperazione e l’interdipendenza, sostenendo i principi democratici e le istituzioni internazionali. Il Realismo e i suoi derivati si concentrano sulle dinamiche di potere e sulla natura anarchica del sistema internazionale. Nel frattempo, il Funzionalismo propone una società globale più integrata attraverso agenzie specializzate, e la Scuola Inglese bilancia le visioni realista e liberale, evidenziando l’importanza di norme e regole. Il Marxismo critica le disparità economiche perpetuate dal capitalismo, e il Costruttivismo sottolinea le costruzioni sociali che plasmano il comportamento degli stati. Gli approcci post-positivisti, tra cui le teorie Critiche, Post-strutturaliste, Postcoloniali, Femministe e Queer, sfidano i paradigmi tradizionali, sostenendo l’inclusione di voci e prospettive diverse. Insieme, queste teorie forniscono un quadro completo per analizzare le relazioni internazionali, consentendo una comprensione più profonda delle complessità delle interazioni globali tra stati e attori non statali.
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