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Realismo Classico nelle Relazioni Internazionali

L'immagine mostra un'antica mappa del mondo con una bussola ornata posta sulla sua superficie. La mappa, resa in tenui toni seppia, riflette lo stile cartografico dell'Era delle Esplorazioni, probabilmente del XVI o XVII secolo. Presenta due emisferi circolari prominenti, raffiguranti l'emisfero orientale e occidentale. La mappa è riccamente dettagliata con varie caratteristiche geografiche, tra cui coste, montagne e fiumi, annotate con elaborati nomi di luoghi storici e iscrizioni latine. Attorno agli emisferi, inserti circolari più piccoli e fioriture decorative aggiungono all'intricato disegno della mappa. La bussola, uno strumento con un esterno in ottone e una faccia in vetro, è posizionata sull'emisfero destro, proiettando un'ombra che aggiunge profondità all'immagine. L'ago della bussola punta verso i punti cardinali, con il Nord chiaramente indicato, evidenziando il suo scopo di navigazione. La texture invecchiata e leggermente usurata sia della mappa che della bussola suggerisce la loro importanza storica e il lungo utilizzo. L'atmosfera generale dell'immagine evoca un senso di avventura, esplorazione e la ricerca storica della conoscenza sulla geografia del mondo.
Un’antica mappa del mondo con una bussola. Immagine di Ylanite Koppens.

Il Realismo, noto anche come Realismo Classico, è una teoria che enfatizza il costante potenziale di competitività e conflitto nelle relazioni internazionali. Si basa sulle idee di autori come Tucidide, Machiavelli e Hobbes, che condividevano una visione pessimistica della natura umana e della politica. Il pensiero realista emerse nel periodo tra le due guerre come reazione ai presunti fallimenti del Liberalismo, che si era dimostrato incapace di prevenire lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Studiosi come Edward Carr e Hans Morgenthau adottarono una metodologia induttiva, osservando i comportamenti dei singoli stati per postulare idee generalizzate sulle relazioni internazionali. Secondo loro, gli stati sono gli attori principali all’interno di un sistema internazionale anarchico e lottano costantemente per il potere al fine di garantire la propria sopravvivenza. Durante la Guerra Fredda, il Realismo Classico si evolse nel Neorealismo, che guadagnò molta importanza. Oggi, tuttavia, il Realismo è solo una delle varie teorie delle relazioni internazionali .

Precursori del Realismo

Le origini del Realismo nelle Relazioni Internazionali possono essere fatte risalire al V secolo a.C., quando Tucidide, uno storico e generale greco, scrisse La Guerra del Peloponneso. Questo libro narra il conflitto tra la Lega del Peloponneso (guidata da Sparta) e la Lega di Delo (guidata da Atene), dal 431 al 404 a.C. Sebbene l’opera di Tucidide non sia esplicitamente una teoria delle relazioni internazionali, essa racchiude concetti teorici chiave che sono stati estrapolati dagli studiosi nel corso dei secoli:

  • Natura umana: Secondo gli Ateniesi, gli esseri umani sono egoisti e non sono vincolati da considerazioni morali o etiche su ciò che è giusto o equo. Invece, agiscono principalmente per interesse personale, alla ricerca dell’autoaffermazione.
  • Sopravvivenza del più forte: Nel Dialogo dei Melii, gli Ateniesi dichiarano che in assenza di un’autorità comune per far rispettare la giustizia a livello internazionale, il potere detta gli esiti delle interazioni internazionali, quindi solo i forti e i potenti possono sopravvivere.
  • Equilibrio di potenza: Tucidide attribuisce la causa sottostante della Guerra del Peloponneso al mutevole equilibrio di potenza tra Atene e Sparta. Sostiene che la paura di Sparta per il crescente potere di Atene li spinse al conflitto. Questo scenario è stato successivamente definito la “Trappola di Tucidide” dagli studiosi moderni, che evidenziano il potenziale di conflitto quando una potenza emergente sfida una potenza consolidata.
  • Dispute tra realisti e liberali: Nel Dialogo dei Melii, gli Ateniesi mettono i Melii di fronte a una scelta netta: sottomettersi o essere distrutti. Gli Ateniesi, incarnando i principi realisti, esortano i Melii a riconoscere le dure realtà della politica di potenza. I Melii, d’altra parte, argomentano da un punto di vista idealista, enfatizzando i principi di giustizia, equità e obblighi reciproci tra gli stati. Sperano di vincere la guerra basandosi su questi principi, ma il loro idealismo viene infine schiacciato dalla logica inflessibile del potere ateniese, portando alla loro distruzione.

Sebbene la narrazione di Tucidide si allinei spesso ai principi realisti, è fondamentale distinguere tra le opinioni dei suoi personaggi e la sua prospettiva personale. La sua comprensione del potere e dell’etica nelle relazioni internazionali è più sfumata rispetto alle convincenti argomentazioni degli Ateniesi nel Dialogo dei Melii.

Un altro autore che influenzò il Realismo fu Niccolò Machiavelli, un filosofo di Firenze, Italia, che sfidò l’idea che la politica dovesse essere virtuosa e che gli standard etici dovessero governare la guerra e il comportamento dello stato. Nel suo libro rivoluzionario Il Principe, pubblicato nel 1532, separò la politica dall’etica, sostenendo che il pensiero politico classico occidentale era irrealistico perché mirava troppo in alto. Invece di concentrarsi su come la vita dovrebbe essere, Machiavelli si concentrò su ciò che la vita è — cioè, le realtà pratiche della vita politica.

Centrale nella filosofia di Machiavelli è il concetto di virtù, che differisce significativamente dalla nozione classica di virtù. Per Machiavelli, la virtù comprendeva qualità come abilità, vigore e capacità di raggiungere i propri obiettivi, piuttosto che virtù morali come giustizia o autocontrollo. Egli sosteneva un approccio pragmatico alla politica, che lo portò ad approvare azioni efficaci, anche se moralmente discutibili. Le idee di Machiavelli diedero origine a un’ideologia che afferma che l’etica è irrilevante in politica e che qualsiasi mezzo — morale o immorale — è giustificato se raggiunge fini politici. In termini pratici, consigliava ai principi di usare qualsiasi mezzo necessario per garantire la sopravvivenza dei loro stati — altrimenti, avrebbero perso tutta la loro rilevanza.

Nel sedicesimo secolo, il Cardinale Richelieu, ministro del re Luigi XIII di Francia, attinse alle idee machiavelliche per creare il concetto di “raison d’état”. Esso postulava che gli interessi di uno stato fossero necessari per la sua sopravvivenza, e, per questo motivo, dovessero prevalere sugli interessi individuali. Sebbene la Francia fosse una monarchia cattolica, la preoccupazione principale del paese all’epoca era contenere il potere della dinastia degli Asburgo, un rivale nella politica di potenza europea. Pertanto, Richelieu mise da parte le sue alleanze religiose e strinse alleanze con stati protestanti come l’Inghilterra e la Repubblica Olandese per sconfiggere gli Asburgo.

Nel diciassettesimo secolo, il filosofo inglese Thomas Hobbes pubblicò il Leviatano, un libro che sfidò fondamentalmente le tradizioni classiche e scolastiche. Descrisse gli esseri umani come individualisti e spinti da un desiderio di gloria e da un “desiderio perpetuo e irrequieto di potere dopo potere” che cessa solo con la morte. Secondo lui, gli umani temono la morte e vivono in uno stato di natura anarchico, in cui non ci sono vincoli al comportamento umano. In tale scenario, gli umani hanno ogni incentivo a impegnarsi in comportamenti violenti — in altre parole, a rimanere in uno stato di guerra perpetua in cui “ogni uomo è contro ogni uomo”:

  • Devono competere per risorse scarse.
  • Devono intraprendere azioni preventive per garantire la propria sicurezza.
  • Devono dominare gli altri per aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza.

Secondo Hobbes, gli individui alla fine vogliono sfuggire allo stato di natura, e lo fanno sottomettendosi a un sovrano — uno stato. Gli stati si formano quindi attraverso un contratto sociale in cui gli individui accettano di limitare la propria libertà, al fine di aumentare le prospettive della propria sopravvivenza.

Assunti Chiave del Realismo

Secondo i realisti, gli stati sono gli elementi centrali del sistema internazionale. Si tratta di entità sovrane e razionali che, seguendo la teoria del sociologo Max Weber, detengono il monopolio dell’uso legittimo della forza contro i propri cittadini. Nel pensiero realista, gli stati sono visti come una “scatola nera” o una “palla da biliardo”: le loro componenti interne agiscono all’unisono, reagiscono alle forze esterne e, di conseguenza, si scontrano tra loro. L’implicazione di questo assunto è che i processi decisionali interni sono considerati irrilevanti per le relazioni internazionali.

I realisti credono che il sistema internazionale sia anarchico — il che significa che non esiste un’entità posta gerarchicamente al di sopra degli stati. Proprio come nello stato di natura hobbesiano, gli stati sono visti come costantemente in lotta per la propria sopravvivenza, nei cosiddetti giochi a “somma zero” o “win-lose”, in cui gli interessi nazionali di un paese possono essere garantiti solo a spese di altri paesi. Per questo motivo, i realisti postulano che gli stati debbano agire da soli, poiché non possono fare affidamento sugli altri per garantire la propria sicurezza (un’idea nota come “auto-aiuto” o “self-help”). Tuttavia, va notato che alcuni autori, come Robert Jervis, non sono d’accordo con l’idea che la cooperazione tra stati sia impossibile. Una visione alternativa è che la cooperazione sia possibile, ma subordinata alla politica di potenza e agli interessi di sicurezza degli stati.

Il Realismo distingue tra alta politica e bassa politica:

  • Alta politica: Questioni vitali per la sopravvivenza stessa dello stato, ovvero le preoccupazioni per la sicurezza nazionale e internazionale.
  • Bassa politica: Tutte le altre questioni, in particolare gli affari economici, culturali o sociali.

In generale, i realisti credono che la guerra sia uno strumento valido sia dell’alta che della bassa politica, e che possa essere condotta per scopi materiali e immateriali, come il prestigio. Nelle parole di Carl von Clausewitz, un generale prussiano morto molto prima della nascita del Realismo, “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”.

La critica di Carr all’utopismo

Edward Hallett Carr (E. H. Carr) fu il fondatore della tradizione realista all’interno delle Relazioni Internazionali con la pubblicazione, nel luglio 1939, di The Twenty Years’ Crisis: 1919-1939 (La Crisi dei Vent’anni: 1919-1939). Il titolo del libro è un riferimento al periodo tra le due guerre e all’incapacità di placare Hitler e dissuaderlo dal ricorrere alla guerra.

Carr credeva che gli stati fossero gli unici attori rilevanti all’interno del sistema internazionale e che la loro azione internazionale fosse motivata da lotte di potere. Pensava che le istituzioni internazionali fossero sempre secondarie rispetto agli interessi nazionali, poiché la preoccupazione principale degli stati è sopravvivere nel mondo.

Presentò una formidabile critica all’approccio liberale alle Relazioni Internazionali, che definì “utopismo”. Questa prospettiva vede la guerra come un’aberrazione e valori come la pace, la giustizia sociale, la prosperità e l’ordine internazionale come beni universali, come una morale universale. D’altra parte, Carr credeva che “la moralità può essere solo relativa, non universale”. La sua argomentazione era radicata nell’osservazione che i politici usano spesso il linguaggio della giustizia per mascherare gli interessi del proprio paese o per diffamare altre nazioni al fine di giustificare atti di aggressione. Questo, sosteneva, dimostrava che le idee morali derivano dalle politiche effettive, contrariamente alla credenza idealista che le politiche si basino su norme universali.

Carr vedeva i valori liberali semplicemente come quelli sostenuti dalle potenze soddisfatte dello status quo. Queste potenze predicano la pace per mantenere la loro sicurezza e predominanza, mentre le potenze insoddisfatte vedono gli stessi accordi come ingiusti e si preparano alla guerra. Per raggiungere la pace, Carr sosteneva che fosse necessario fare concessioni alle potenze insoddisfatte, per rendere l’ordine internazionale tollerabile per loro. Ad esempio, si riferiva spesso alla Germania nazista come a un paese come un altro, che non può essere placato semplicemente da principi e istituzioni. Tuttavia, propose concessioni territoriali ai tedeschi come modo per evitare una Seconda Guerra Mondiale — cosa che la storia ha dimostrato essere stata futile.

Allo stesso modo, Carr fu aspramente critico nei confronti della nozione di libero scambio, poiché, secondo lui, favoriva i paesi che avevano già raggiunto un alto livello di sviluppo. Credeva che i paesi in via di sviluppo avessero tutto il diritto di impegnarsi in politiche protezionistiche, al fine di garantire i propri interessi nazionali.

I Sei Principi del Realismo Politico di Morgenthau

Hans Morgenthau era un rifugiato dalla Germania nazista che si stabilì negli Stati Uniti nel 1937, poco prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Fu ispirato dal pensiero di Thomas Hobbes e Reinhold Niebuhr, un teologo protestante e scrittore politico. Nel suo libro Politics among Nations: The Struggle for Power and Peace (Politica tra le Nazioni: La Lotta per il Potere e la Pace), pubblicato nel 1948, sviluppò una sorta di realismo biologico, a causa della sua assunzione che “le forze sociali sono il prodotto della natura umana in azione”.

Secondo lui, l’aspetto fondamentale della natura umana è l’animus dominandi— il desiderio egoistico di potere e dominio. Nell’ambito della politica internazionale, questo aspetto è la causa principale del conflitto tra gli stati, che lottano sempre per il potere come modo per difendere i propri interessi. Come conseguenza di ciò, un equilibrio di potenza sorge spontaneamente dalle azioni deliberate di ogni particolare stato che cerca di sopravvivere nel mondo.

La teoria di Morgenthau si basa sui “sei principi del realismo politico”, che presentò nel primo capitolo del suo libro. Si tratta di idee prescrittive, intese a sistematizzare il Realismo all’interno delle Relazioni Internazionali:

  1. La politica, come la società in generale, è governata da leggi oggettive che hanno le loro radici nella natura umana: Gli esseri umani hanno una spinta naturale a dominarsi a vicenda, una regola generale che non è cambiata da quando è stata scoperta dai filosofi classici di Cina, India e Grecia. A livello nazionale, l’ animus dominandi è tenuto sotto controllo da leggi, polizia e tribunali. A livello internazionale, invece, non esistono tali vincoli.
  2. Il concetto di interesse è definito in termini di potere: Tutti gli stati agiscono razionalmente, prendendo in considerazione solo i propri interessi quando agiscono nel mondo. Gli statisti non dovrebbero lasciare che la loro morale personale o le loro preferenze ostacolino il perseguimento degli interessi dei rispettivi stati. Ad esempio, la politica di appeasement di Neville Chamberlain aveva probabilmente un buon motivo (il tentativo di preservare la pace), ma alla fine fallì. Al contrario, Winston Churchill agì nel perseguimento del potere nazionale ed ebbe molto più successo.
  3. Potere e interesse sono definiti universalmente, ma variano a seconda delle circostanze di tempo e luogo: Il potere non è solo potere militare, ma anche potere culturale ed economico. La formulazione della politica estera di un paese può essere influenzata dal contesto politico, economico e culturale di detto paese, influenzando gli interessi che avrà o meno.
  4. I principi morali universali non possono essere applicati alle azioni degli stati: I comportamenti degli stati dipendono dalle circostanze specifiche in cui gli stati si trovano. Mentre gli individui sono liberi di applicare principi morali nella propria vita, gli stati dovrebbero sempre agire nel modo migliore per la loro sopravvivenza, anche se ciò va contro i principi di moralità.
  5. Le aspirazioni morali di una particolare nazione non possono essere identificate con le leggi morali che governano l’universo: Tutte le nazioni sono tentate di equiparare i loro principi e interessi a quelli dell’intero universo. Tuttavia, questa è un’illusione. Gli stati dovrebbero guidare le loro decisioni politiche secondo i loro interessi, cercando al contempo di rispettare gli interessi altrui. Ciò significa che gli stati agiscono con moderazione non secondo la moralità, ma contemplando le conseguenze politiche delle loro azioni.
  6. La sfera politica è autonoma: A differenza di altre scuole di pensiero, il Realismo Politico ritiene che gli interessi politici debbano essere compresi solo in termini di potere, mentre altri interessi possono essere compresi in altri modi. Ad esempio, gli economisti vedono l’interesse in termini di ricchezza, i giuristi lo vedono in termini di adesione alle norme e i moralisti lo vedono in termini di conformità ai principi morali. I realisti politici sono consapevoli degli standard di pensiero economici, legali e morali, ma non sono mai subordinati ad essi.

Conclusione

Il Realismo emerse come risposta ai fallimenti del Liberalismo nel periodo tra le due guerre, profondamente radicato nelle intuizioni storiche e filosofiche di figure come Tucidide, Machiavelli e Hobbes. Autori come Edward Carr e Hans Morgenthau evidenziarono la natura anarchica del sistema internazionale e le perpetue lotte di potere tra stati sovrani. Durante la Guerra Fredda, il pensiero realista guadagnò molta importanza, poiché le questioni di sicurezza erano prevalenti nella politica internazionale. Oggi, il Realismo Classico, il Neorealismo, il Realismo Neoclassico e il Realismo Critico sono le principali fonti del pensiero realista nelle RI. Sebbene siano fondamentali per comprendere le complessità della politica internazionale, affrontano anche critiche da una serie di altre teorie delle relazioni internazionali.


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